Quando parliamo di intelligenza artificiale generativa, la tentazione è concentrarsi sulla potenza dei modelli, sulle capacità predittive e sull’automazione. Eppure il vero valore non sta soltanto negli algoritmi, ma nel modo in cui noi esseri umani sappiamo interagirci. Qui entra in gioco il prompt engineering, una competenza che non riguarda solo la forma linguistica delle richieste, ma la capacità di orientare l’IA verso output utili, pertinenti e strategici. Per professionisti e imprese, padroneggiare queste tecniche significa smettere di considerare l’IA un semplice supporto e iniziare a trattarla come un partner in grado di amplificare produttività, creatività e innovazione.
Il prompt engineering può essere inteso come l’arte di formulare richieste in modo da massimizzare la qualità dei risultati generati dai modelli. Come scrivono Reynolds e McDonell (2021), “la costruzione del prompt rappresenta un atto di mediazione: traduce un obiettivo umano in una forma comprensibile per la macchina” (p. 45). Questa mediazione è cruciale perché i modelli linguistici non “capiscono” le parole come noi, ma elaborano pattern statistici. Marcus (2023) osserva che “i sistemi di IA non ragionano come noi: generano probabilità. Per questo, il compito dell’utente è guidarli con istruzioni chiare e precise”. In pratica, il modo in cui formuliamo la domanda determina il tipo e la qualità della risposta.
Tra le tecniche fondamentali, la specificità è il primo cardine. Un prompt vago produce risposte vaghe, mentre uno dettagliato restringe il campo e alza la qualità dell’output. Dale (2021) sottolinea che “l’accuratezza linguistica dei prompt è direttamente proporzionale alla precisione delle risposte dell’IA”. È la differenza tra chiedere genericamente “Scrivi un articolo sul futuro del lavoro” e specificare “Scrivi un articolo di 2.000 parole, con stile divulgativo ma professionale, sul futuro del lavoro nell’era dell’intelligenza artificiale, includendo almeno tre casi studio e sei citazioni in formato APA”. Un’altra leva potente è la scomposizione del compito. Brown et al. (2020) hanno mostrato che “i modelli linguistici migliorano le prestazioni quando i compiti vengono suddivisi in passaggi sequenziali”. Invece di domandare all’IA un business plan completo, è più efficace farle generare prima l’indice, poi i singoli capitoli e infine la revisione, costruendo il risultato per iterazioni.
Assegnare un ruolo all’IA aiuta a ottenere contenuti più coerenti con il contesto. Reynolds e McDonell (2021) evidenziano che “quando un modello assume una prospettiva definita, i contenuti risultano più coerenti e pertinenti rispetto al contesto richiesto”. Dire “Agisci come un consulente di marketing esperto di PMI italiane e genera un piano strategico di comunicazione digitale per un’azienda del settore food” orienta tono, lessico e priorità. La contestualizzazione con esempi è altrettanto decisiva: OpenAI (2022) ha evidenziato che “includere esempi nei prompt aumenta la coerenza del risultato e riduce la probabilità di errori”. Mostrare uno o due modelli di output desiderato aiuta il sistema ad allinearsi allo stile richiesto. Tutto questo avviene dentro un ciclo di raffinamento continuo. Amershi et al. (2019) ricordano che “l’interazione ciclica tra utente e IA è ciò che consente di ottenere output di qualità crescente”: si prova, si valuta, si riformula, si migliora. Nelle attività più complesse può essere utile chiedere al modello di esplicitare i passaggi logici. Wei et al. (2022) mostrano che “chiedere esplicitamente al modello di spiegare i passaggi del proprio ragionamento migliora la correttezza nelle attività complesse”, soprattutto quando serve trasparenza nel percorso argomentativo.
Per i professionisti, queste tecniche si traducono in vantaggi operativi immediati. Un avvocato può generare bozze contrattuali già adattate a una giurisdizione; un coach può progettare esercizi motivazionali personalizzati; un designer può esplorare varianti creative di un concept; un consulente può sintetizzare report complessi in un linguaggio accessibile ai decisori. Come scrive Wilson (2022), “l’IA da sola produce dati e testi; è il professionista, attraverso prompt accurati, a trasformarli in valore concreto”. Anche per le imprese l’impatto è trasversale: nel marketing, l’IA permette campagne più mirate e messaggi personalizzati; nelle risorse umane aiuta a scrivere job description più attrattive e coerenti; nella formazione consente percorsi didattici su misura; in strategia supporta la simulazione di scenari e l’analisi SWOT. Non sorprende che un caso riportato da McKinsey (2021) evidenzi come “le imprese che hanno adottato l’IA con un approccio strutturato hanno aumentato la loro capacità di innovazione del 30% rispetto ai competitor”.
Il prompt engineering non è solo un modo per “chiedere meglio”, ma un moltiplicatore di produttività e innovazione. Golden (2022) osserva che “l’IA non rimpiazza la creatività umana, ma ne amplia l’orizzonte, fornendo stimoli e combinazioni inedite”. Un team che usa l’IA per il brainstorming di nuovi prodotti, guidandola con prompt accurati, può esplorare in poche ore decine di piste promettenti, accorciando drasticamente i tempi di ricerca e sviluppo e liberando tempo per la validazione sul campo.
Accanto ai benefici, serve però un approccio responsabile. Bender et al. (2021) ricordano che “i modelli linguistici amplificano i bias presenti nei dati”, quindi i prompt dovrebbero includere istruzioni per richiedere trasparenza, citazioni di fonti e confronto tra prospettive alternative, oltre a indicazioni sul grado di incertezza. Floridi e Cowls (2019) aggiungono che “l’etica dell’IA deve fondarsi su benefici concreti per le persone, evitando rischi e danni”, il che implica che professionisti e imprese rimangano responsabili dei risultati generati, mantenendo controllo critico e capacità di verifica.
In definitiva, il prompt engineering non è una moda passeggera ma una competenza destinata a diventare centrale nel lavoro dei prossimi anni. È la chiave che consente a professionisti e imprese di trasformare l’IA da tecnologia generica a risorsa strategica quotidiana. Come ricorda Schon (1983), “il professionista riflessivo è colui che impara continuamente dall’esperienza, adattandosi al contesto”. In un mondo in cui l’IA diventa un partner di lavoro, saper dialogare con essa rappresenta la nuova forma di riflessività professionale.
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Non prescrive cure, non vende ricette prefabbricate: facilita un’esplorazione guidata che fa emergere soluzioni “dal dentro”, poi le traduce in piani d’azione piccoli, testabili e iterativi. Il successo si misura in autonomia conquistata: quando il cliente prosegue da solo – con più lucidità, più strumenti e più fiducia – il coaching ha centrato il suo vero obiettivo.
Il primo traguardo è fare luce sul panorama interiore: valori, aspirazioni, criteri di successo. Senza questa bussola ci muoviamo a zig‑zag, spinti dall’urgenza del momento o dalle pressioni esterne. Il coach, con domande mirate e riflessioni guidate, aiuta a separare il “rumore” dall’essenziale. Quando la visione si fa nitida, le decisioni smettono di essere tormenti interminabili: diventano scelte rapide e coerenti, perché sappiamo quale stella polare seguire.
Una volta chiara la meta, serve la fiducia di poterci arrivare. Qui entrano in gioco micro‑azioni studiate per riuscire: gesti piccoli ma significativi che dimostrano a mente e corpo di “potercela fare davvero”. Ogni successo rilascia dopamina, rafforza la memoria emotiva del “ce l’ho fatta” e innesca un ciclo di coraggio crescente. Alla fine il cliente parla in prima persona attiva – “posso, voglio, faccio” – invece di restare impigliato nei condizionali.
Il coaching non sostituisce un corso tecnico, ma catalizza l’apprendimento: individua quali skill vanno affinate (leadership, public speaking, gestione del tempo) e costruisce scenari di pratica reali con feedback immediato.
È come avere un laboratorio portatile: si sperimenta, si riflette, si corregge la rotta. Il risultato è misurabile in prestazioni: presentazioni più incisive, team meglio orchestrati, progetti consegnati con meno stress.
Crescere da soli non basta; dobbiamo farlo in sintonia con le persone e i contesti che ci circondano. Il coaching esplora l’impatto delle nostre azioni sul team, sull’azienda, persino sulla comunità.
Allineare ambizioni personali e bisogni collettivi evita conflitti, crea collaborazione e libera energie che altrimenti andrebbero disperse in frizioni quotidiane. È un cambio di prospettiva: dal “mio risultato” al “nostro risultato”.
Bibliografia
Amershi, S., et al. (2019). Guidelines for Human-AI Interaction. CHI Conference on Human Factors in Computing Systems.
Bender, E. M., Gebru, T., McMillan-Major, A., & Shmitchell, S. (2021). On the dangers of stochastic parrots: Can language models be too big? Proceedings of the 2021 ACM Conference on Fairness, Accountability, and Transparency.
Brown, T., et al. (2020). Language Models are Few-Shot Learners. NeurIPS Proceedings.
Dale, R. (2021). The return of the chatbots. Natural Language Engineering, 27(1), 1–9.
Floridi, L., & Cowls, J. (2019). A unified framework of five principles for AI in society. Harvard Data Science Review, 1(1).
Golden, J. (2022). AI and the future of creative industries. Journal of Creative Innovation, 15(3), 45–59.
Marcus, G. (2023). Rebooting AI: The challenge of prompt precision. AI & Society Journal, 38(2), 120–134.
McKinsey & Company. (2021). The state of AI in 2021. McKinsey Global Institute.
OpenAI. (2022). Best practices for prompt design. OpenAI Research Blog.
Reynolds, L., & McDonell, K. (2021). Role prompting and contextual relevance. Journal of AI Interaction, 12(4), 40–52.
Schon, D. (1983). The Reflective Practitioner. New York: Basic Books.
Wei, J., et al. (2022). Chain-of-thought prompting elicits reasoning in large language models. NeurIPS Proceedings.
Wilson, J. (2022). Human + Machine: Reimagining Work in the Age of AI. Harvard Business Review Press.
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