L’intelligenza artificiale per il business: il ruolo chiave del prompt engineering
L’intelligenza artificiale (IA) è ormai parte integrante delle nostre vite, anche se spesso non ce ne accorgiamo. Dalle ricerche su Google ai suggerimenti di Netflix, dai chatbot delle banche fino agli algoritmi che gestiscono la logistica globale: l’IA è già ovunque. La differenza, oggi, non sta più nel chiedersi “arriverà davvero?”, ma nel domandarsi: “come possiamo sfruttarla al meglio per generare valore concreto?”
La risposta non è soltanto “usare l’IA”. La vera differenza la fa il modo in cui dialoghiamo con essa. Ed è qui che entra in gioco un concetto che sta diventando cruciale: il prompt engineering. Non un tecnicismo da smanettoni, ma una competenza strategica che ogni professionista, manager o imprenditore deve iniziare a coltivare.
Perché l’IA è già un cambio di paradigma
Molti associano ancora l’intelligenza artificiale alla robotica o a scenari da film. In realtà, l’IA di oggi è soprattutto linguaggio, analisi di dati e automazione intelligente. Secondo il World Economic Forum, oltre l’85% delle aziende globali prevede di integrare sistemi di IA nei processi chiave entro il 2030. Non parliamo di futuro remoto, ma di un cambiamento che sta già ridisegnando il mercato del lavoro e i modelli di business.
La frase più citata in questo contesto è quella di Brynjolfsson & McAfee (2017): “L’intelligenza artificiale non rimpiazzerà i lavoratori. Saranno i lavoratori che sanno usare l’IA a rimpiazzare chi non la sa usare.”
È un monito chiaro: il rischio non è essere sostituiti da una macchina, ma essere tagliati fuori da chi avrà imparato a farla lavorare a proprio vantaggio.
Immaginiamo due avvocati: il primo impiega ore per scrivere un contratto da zero, il secondo utilizza un modello di IA che genera la bozza in pochi minuti, pronta per la revisione. Chi dei due pensi avrà maggiore produttività e più clienti soddisfatti?
Prompt generico = Risultato mediocre
Molti, quando provano ChatGPT o altri modelli simili, restano delusi. “Scrive in modo vago”, “non è preciso”, “non è creativo”. La verità? Non è colpa dell’IA, ma del prompt.
Un esempio banale:
Prompt generico: “Scrivi un articolo sul marketing digitale.”
Risultato: testo superficiale, pieno di frasi già sentite.Prompt mirato: “Scrivi un articolo di 1.500 parole sul marketing digitale per PMI italiane, con tono professionale e discorsivo, includendo almeno tre esempi pratici di aziende che hanno usato strategie di social media con successo.”
Il secondo prompt cambia completamente lo scenario. Come afferma Dale (2021), “i modelli linguistici sono specchi: riflettono la precisione (o la vaghezza) delle richieste”.
In altre parole, la qualità dell’input determina la qualità dell’output.
Prompt Engineering: la nuova competenza strategica
Il prompt engineering non è altro che l’arte di scrivere richieste chiare, specifiche e strutturate per ottenere dall’IA risposte utili, pertinenti e di valore. Non è un dettaglio tecnico: è la chiave che separa chi trasforma l’IA in un alleato strategico da chi la usa come un semplice giocattolo.
Le regole fondamentali del prompt engineering
Specificità: meno ambiguità, più efficienza.
Scomposizione: suddividere compiti complessi in micro-passaggi.
Ruolo definito: chiedere all’IA di “agire come” un esperto in un certo campo.
Contesto: fornire esempi, dati e obiettivi chiari.
Iterazione: riformulare, rifinire e migliorare progressivamente.
Reynolds & McDonell (2021) dimostrano che dare un “ruolo” all’IA produce risposte più coerenti e contestualizzate.
Un esempio pratico:
Prompt generico: “Dammi idee di business.”
Prompt ingegnerizzato: “Sei un consulente per startup in Italia. Suggerisci 5 idee di business nel settore food-tech, con budget iniziale sotto i 50.000€, orientate alla sostenibilità ambientale e facilmente scalabili online.”
Il secondo prompt genera idee concrete, praticabili e contestualizzate.
L’IA come acceleratore di produttività
Uno degli aspetti più affascinanti dell’IA è la capacità di liberare tempo e risorse. Secondo McKinsey (2021), le aziende che hanno introdotto soluzioni di IA nei processi core hanno registrato un aumento medio del 20% della produttività. Accenture (2021) aggiunge che l’automazione intelligente riduce il tempo sprecato in attività ripetitive fino al 40%. Tradotto: se un consulente passa due ore al giorno a preparare report, con l’IA può ridurre questo tempo a 15 minuti, liberando energie da dedicare a clienti, innovazione e strategie di crescita.
Creatività moltiplicata, non sostituita
Uno dei timori più diffusi è che l’IA possa soffocare la creatività. In realtà, accade l’opposto. Golden (2022) osserva che “l’IA amplifica la creatività, offrendo più opzioni di quante una sola mente potrebbe generare.”. Prendiamo il design: un creativo può sviluppare tre concept grafici in una settimana; con l’IA può generarne trenta in un’ora, per poi scegliere e perfezionare le soluzioni migliori.
Chiedere “idee per un nuovo logo” è banale. Ma un prompt come:
“Genera 10 concept di logo per una startup italiana di mobilità sostenibile, che trasmetta innovazione e fiducia, con palette verde e blu, e stile minimalista.”
offre un ventaglio di soluzioni già coerenti con il contesto.
Etica e responsabilità: l’altra faccia della medaglia
Non possiamo parlare di IA senza affrontare i temi etici. I modelli riflettono i bias dei dati con cui sono stati addestrati (Bender et al., 2021). Questo significa che possono generare contenuti distorti, discriminatori o fuorvianti.
Floridi & Cowls (2019) ricordano che l’IA deve basarsi su quattro principi:
Beneficenza (fare il bene),
Non maleficenza (evitare danni),
Autonomia,
Giustizia.
Per questo, il prompt engineering non è solo una tecnica, ma anche una responsabilità. Scrivere prompt consapevoli significa ridurre i rischi e orientare l’IA verso risposte etiche e affidabili.
Il prompt engineering come nuova soft skill
Se fino a ieri le soft skill fondamentali erano comunicazione, problem solving e gestione del tempo, oggi dobbiamo aggiungere anche la capacità di dialogare con le macchine.
Il prompt engineering diventerà nei prossimi anni ciò che Excel è stato negli anni ’90: uno strumento che non tutti sanno padroneggiare, ma che distingue chi è competitivo da chi resta indietro. Secondo Gartner (2023), entro il 2026 il 70% delle aziende considererà il prompt engineering una competenza richiesta nei processi di selezione, soprattutto nei ruoli legati al marketing, alla consulenza e alla gestione dati.
Dal gadget alla leva strategica
Il rischio più grande è trattare l’IA come un semplice passatempo. Chi la usa solo per scrivere un post LinkedIn o per generare una battuta divertente, non coglie la sua vera portata.
Il prompt engineering permette di trasformare l’IA in una leva strategica capace di:
Aumentare la produttività,
Generare innovazione,
Supportare decisioni complesse,
Ampliare la creatività,
Ridurre i costi operativi.
In altre parole, ciò che distingue un professionista “futuro-proof” non è l’uso dell’IA, ma l’uso consapevole e strategico dell’IA.
Conclusione
L’intelligenza artificiale non è più un lusso per grandi aziende o esperti di tecnologia. È un alleato già disponibile, ma solo per chi impara a dialogare con essa. Il prompt engineering è la chiave che apre questa porta: una competenza che unisce linguaggio, strategia, creatività e responsabilità etica.
Chi la padroneggerà potrà cavalcare l’onda della trasformazione, diventando più produttivo, innovativo e competitivo. Chi la ignorerà, rischia di restare ancorato a un modello di lavoro già vecchio.
Come ricorda Donald Schön (1983): “Il professionista riflessivo impara dall’esperienza e si adatta al contesto.” Oggi, adattarsi significa imparare a parlare con l’IA. Non come con un oracolo, ma come con un collega strategico, da guidare con intelligenza e visione.
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(commento o sintesi della videointervista)
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Il coaching è l’arte di trasformare domanda, ascolto e feedback in leve di crescita accelerata.
Non prescrive cure, non vende ricette prefabbricate: facilita un’esplorazione guidata che fa emergere soluzioni “dal dentro”, poi le traduce in piani d’azione piccoli, testabili e iterativi. Il successo si misura in autonomia conquistata: quando il cliente prosegue da solo – con più lucidità, più strumenti e più fiducia – il coaching ha centrato il suo vero obiettivo.
Il primo traguardo è fare luce sul panorama interiore: valori, aspirazioni, criteri di successo. Senza questa bussola ci muoviamo a zig‑zag, spinti dall’urgenza del momento o dalle pressioni esterne. Il coach, con domande mirate e riflessioni guidate, aiuta a separare il “rumore” dall’essenziale. Quando la visione si fa nitida, le decisioni smettono di essere tormenti interminabili: diventano scelte rapide e coerenti, perché sappiamo quale stella polare seguire.
Una volta chiara la meta, serve la fiducia di poterci arrivare. Qui entrano in gioco micro‑azioni studiate per riuscire: gesti piccoli ma significativi che dimostrano a mente e corpo di “potercela fare davvero”. Ogni successo rilascia dopamina, rafforza la memoria emotiva del “ce l’ho fatta” e innesca un ciclo di coraggio crescente. Alla fine il cliente parla in prima persona attiva – “posso, voglio, faccio” – invece di restare impigliato nei condizionali.
Il coaching non sostituisce un corso tecnico, ma catalizza l’apprendimento: individua quali skill vanno affinate (leadership, public speaking, gestione del tempo) e costruisce scenari di pratica reali con feedback immediato.
È come avere un laboratorio portatile: si sperimenta, si riflette, si corregge la rotta. Il risultato è misurabile in prestazioni: presentazioni più incisive, team meglio orchestrati, progetti consegnati con meno stress.
Crescere da soli non basta; dobbiamo farlo in sintonia con le persone e i contesti che ci circondano. Il coaching esplora l’impatto delle nostre azioni sul team, sull’azienda, persino sulla comunità.
Allineare ambizioni personali e bisogni collettivi evita conflitti, crea collaborazione e libera energie che altrimenti andrebbero disperse in frizioni quotidiane. È un cambio di prospettiva: dal “mio risultato” al “nostro risultato”.
Bibliografia
Accenture. (2021). The future of work: Productive AI strategies. Accenture Research.
Bender, E. M., Gebru, T., McMillan-Major, A., & Shmitchell, S. (2021). On the dangers of stochastic parrots: Can language models be too big? Proceedings of the 2021 ACM Conference on Fairness, Accountability, and Transparency.
Brynjolfsson, E., & McAfee, A. (2017). Machine, Platform, Crowd: Harnessing Our Digital Future. New York: Norton & Company.
Dale, R. (2021). The return of the chatbots. Natural Language Engineering, 27(1), 1-9.
Floridi, L., & Cowls, J. (2019). A unified framework of five principles for AI in society. Harvard Data Science Review, 1(1).
Golden, J. (2022). AI and the future of creative industries. Journal of Creative Innovation, 15(3), 45-59.
Marcus, G. (2023). Rebooting AI: The challenge of prompt precision. AI & Society Journal, 38(2), 120–134.
McKinsey & Company. (2021). The state of AI in 2021. McKinsey Global Institute.
Schon, D. (1983). The Reflective Practitioner. New York: Basic Books.
World Economic Forum. (2023). The Future of Jobs Report 2023. Geneva: WEF.
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